Presupposizione e vincoli urbanistici nei contratti preliminari
La compravendita immobiliare è un ambito del diritto privato in cui l’incertezza sulla destinazione urbanistica dei beni può generare rilevanti conseguenze giuridiche. In particolare, la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha approfondito il tema della presupposizione nei contratti preliminari, ossia la rilevanza di circostanze esterne non esplicitamente menzionate ma date per scontate dalle parti al momento della stipula.
Le pronunce n. 13435/2024 e n. 20331/2024 offrono due interpretazioni differenti dello stesso istituto: mentre nella prima la presupposizione è stata riconosciuta, nella seconda è stata negata. Il confronto tra le due decisioni permette di chiarire i confini applicativi di questo principio e il ruolo della diligenza delle parti nella verifica delle condizioni dell’immobile.
Quando la presupposizione giustifica la risoluzione del contratto: Cass. n. 13435/2024
La sentenza 13435/2024 ha riconosciuto la presupposizione come causa di scioglimento del contratto preliminare di compravendita. In questo caso, la destinazione edificatoria del terreno era stata considerata essenziale da entrambe le parti, ma un mutamento sopravvenuto della disciplina urbanistica aveva reso l’immobile inedificabile. Secondo la Corte, tale circostanza ha inciso in modo determinante sulla volontà contrattuale e ha reso legittima la richiesta dell’acquirente di risolvere il contratto ex tunc.
I criteri per il riconoscimento della presupposizione secondo la Cassazione:
- L’edificabilità del terreno era un presupposto oggettivo comune alle parti.
- La sopravvenuta inedificabilità ha reso impossibile l’utilizzo dell’immobile secondo le aspettative originarie.
- Il mutamento urbanistico non era prevedibile al momento della stipula.
- La nuova destinazione urbanistica ha inciso in maniera radicale sull’equilibrio delle prestazioni contrattuali.
La Corte ha quindi affermato che, quando la commerciabilità del bene è compromessa per eventi sopravvenuti e imprevedibili, la presupposizione può essere invocata per chiedere la risoluzione del contratto.
Quando la presupposizione viene esclusa: Cass. n. 20331/2024
Diversa è la conclusione raggiunta nell’ordinanza n. 20331/2024, in cui la Cassazione ha negato la sussistenza della presupposizione e ha respinto la richiesta di risoluzione contrattuale. In questo caso, l’acquirente sosteneva di non essere stato informato di un vincolo urbanistico che rendeva il terreno inedificabile. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che l’inedificabilità non fosse una circostanza sopravvenuta e imprevedibile, bensì un elemento già esistente al momento della stipula, che l’acquirente avrebbe potuto conoscere esercitando un’ordinaria diligenza.
Le ragioni per cui la Cassazione ha escluso la presupposizione:
- L’inedificabilità non era sopravvenuta, ma già esistente al momento del contratto.
- L’acquirente avrebbe dovuto verificare con maggiore attenzione la destinazione urbanistica.
- Il rischio dell’inedificabilità non può essere trasferito sul venditore solo perché l’acquirente ne ignorava la portata.
- L’affidamento della parte acquirente non era sufficiente a giustificare la risoluzione del contratto.
Secondo la Corte, dunque, la presupposizione non può essere invocata quando l’acquirente avrebbe potuto agevolmente accertare la situazione urbanistica con una normale diligenza.
Il collegamento tra le due decisioni
Le due pronunce della Cassazione confermano che la presupposizione si applica solo se il mutamento delle condizioni è oggettivo, imprevedibile e sopravvenuto.
- Nella sentenza n. 13435/2024, la destinazione urbanistica era mutata dopo la conclusione del contratto, alterando radicalmente l’equilibrio tra le prestazioni.
- Nell’ordinanza n. 20331/2024, invece, l’inedificabilità era già nota o conoscibile al momento della stipula, per cui la parte acquirente non poteva invocare la presupposizione per sciogliere il contratto.
Le decisioni evidenziano che l’applicazione della presupposizione non può dipendere esclusivamente dalle aspettative soggettive delle parti, ma deve basarsi su criteri oggettivi di equilibrio contrattuale. Inoltre, ribadiscono che l’onere di verificare la situazione urbanistica grava su entrambe le parti: la buona fede del venditore non esonera l’acquirente da un’attenta valutazione della conformità del bene prima di impegnarsi contrattualmente.
I nostri consigli
Le recenti pronunce della Cassazione consolidano un principio fondamentale: nei contratti preliminari di compravendita immobiliare, la stabilità della destinazione urbanistica è un elemento essenziale per la validità del contratto. Tuttavia, la tutela della parte acquirente attraverso l’istituto della presupposizione è ammessa solo se il mutamento delle condizioni è sopravvenuto e imprevedibile, mentre non può essere invocata se la situazione urbanistica era conoscibile con la normale diligenza.
Per chi opera nel settore immobiliare, questa giurisprudenza sottolinea l’importanza di condurre verifiche accurate sulla destinazione urbanistica del bene prima di stipulare un contratto, al fine di evitare contenziosi e garantire la sicurezza delle transazioni.
Ed inserire le clausole adeguate per tutelare le parti da rischi connessi a vincoli urbanistici ed espropriativi, può prevenire situazioni di incertezza ed evitare contenziosi dall’esito incerto, garantendo una maggiore sicurezza nelle transazioni immobiliari.