Contratti preliminari, vizi dell’immobile e onere della prova
Pubblicato il 3 aprile 2025, il recente arresto della Corte di Cassazione, Sez. II Civile, sent. n. 8903/2025, offre l’occasione per una riflessione articolata sull’annosa questione dell’onere della prova nei contratti preliminari di compravendita immobiliare, in ipotesi di inadempimento dovuto a vizi del bene promesso in vendita.
Il fatto
La controversia trae origine da un contratto preliminare stipulato nel 2003 tra una promissaria acquirente e un promittente venditore per la compravendita di un locale commerciale. Successivamente alla sottoscrizione, la promissaria lamentava la presenza di vizi gravi (umidità, muffa, crepe strutturali) e la ridotta superficie rispetto a quanto pattuito, oltre a inadempimenti del promittente, tra cui il mancato svincolo dell’immobile da gravami ipotecari. La Corte d’Appello di Venezia aveva rigettato la domanda di risoluzione, accogliendo parzialmente la riconvenzionale del venditore.
La decisione della Cassazione
La Corte ha cassato con rinvio, affermando un principio che può sembrare scontato per molti operatori del diritto: è onere del promittente venditore dimostrare l’assenza dei vizi dedotti dall’acquirente. In caso di eccezione d’inadempimento ex art. 1460 c.c., la parte che eccepisce deve allegare l’inadempimento altrui e sarà onere della controparte dimostrare l’avvenuto adempimento o la legittima causa impeditiva.
Un principio consolidato… da oltre vent’anni
Giova ricordare che questo criterio di riparto dell’onere probatorio è già stato affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13533 del 2001, e ribadito da numerosi successivi arresti:
- Cass., Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533: principio guida secondo cui è sufficiente che il creditore alleghi l’inadempimento e spetta al debitore provare l’avvenuto adempimento.
- Cass., sez. I, 15 luglio 2011, n. 15659: conferma che l’onere della prova dell’adempimento grava sul debitore.
- Cass., sez. II, 16 marzo 2017, n. 6844: ha ribadito che la parte inadempiente non può invocare impedimenti sopravvenuti per esimersi dalle proprie obbligazioni.
- Cass., sez. VI-2, 4 gennaio 2019, n. 98: ha riaffermato che chi agisce per ottenere l’esecuzione deve provare l’esatto adempimento.
- Cass., sez. VI-3, 11 febbraio 2021, n. 3587: l’applicazione del principio anche nei casi in cui si eccepisce l’inadempimento altrui.
- Cass., sez. II, 3 aprile 2025, n. 8903: la più recente conferma che spetta al promittente venditore dimostrare l’assenza di vizi.
Oltre l’art. 1460: il quadro normativo dell’inadempimento
Benché spesso richiamato nei casi concreti, l’art. 1460 c.c. non rappresenta il fondamento esclusivo dell’inversione dell’onere della prova in caso di inadempimento contrattuale. Il cuore della disciplina risiede negli artt. 1218 e 2697 c.c., secondo i quali il creditore, una volta allegata la fonte del proprio diritto e l’inadempimento, non deve ulteriormente dimostrare la colpa del debitore. Quest’ultimo ha l’onere di provare l’avvenuto adempimento o l’impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile.
Perché siamo ancora in Cassazione?
Il dato più significativo, e al tempo stesso problematico, è che, nonostante il lungo consolidamento del principio in oggetto, la Suprema Corte si trovi ancora oggi a intervenire per riaffermarlo in casi privi di elementi di novità o specificità tali da giustificare un vaglio di legittimità. Una situazione che, se da un lato testimonia la persistenza di margini di errore nell’applicazione dei criteri probatori da parte della giurisprudenza di merito, dall’altro sollecita una riflessione sull’effettiva capacità del sistema di assorbire e metabolizzare l’orientamento nomofilattico, traducendolo in prassi giurisprudenziale uniforme.
Conclusioni
Questa nuova pronuncia, per quanto confermativa, ha il merito di rimettere al centro del dibattito una verità processuale fondamentale: è il debitore che deve dimostrare di aver adempiuto, e non il creditore a dover inseguire le prove dell’inadempimento.
Un principio che è tanto più rilevante nei contratti preliminari, in cui la parte promittente ha spesso pieno controllo delle informazioni tecniche sull’immobile. Resta tuttavia l’amara constatazione di un sistema che, per affermare l’ovvio, ha ancora bisogno dell’intervento della Suprema Corte.
Profili operativi per gli operatori del settore immobiliare
La sentenza n. 8903/2025 fornisce un chiaro monito agli operatori professionali, in particolare a chi redige, stipula o gestisce contratti preliminari di compravendita:
- Il promittente venditore deve predisporre con particolare cura la documentazione tecnica e urbanistica dell’immobile, prevedendo clausole contrattuali trasparenti in merito allo stato dell’immobile e garantendo un’effettiva conformità tra quanto pattuito e quanto offerto.
- Deve inoltre conservare idonei elementi di prova (es. perizie, attestazioni di conformità, relazioni tecniche) che dimostrino la mancanza di vizi e la regolarità urbanistica e catastale.
- Il promissario acquirente è tenuto a effettuare, fin dalla fase precontrattuale, verifiche documentali e ispezioni tecniche, documentando in modo tempestivo eventuali vizi riscontrati o difformità.
- Particolare attenzione deve essere posta al contenuto delle clausole risolutive espresse, delle clausole penali e delle previsioni circa le modalità di stipula del definitivo.
Un approccio preventivo e diligente da entrambe le parti non solo riduce il rischio di contenziosi, ma contribuisce a una maggiore efficienza e trasparenza del mercato immobiliare.
Iscriviti alla nostra newsletter esclusiva per ricevere consigli pratici, aggiornamenti normativi e strumenti utili.