difformità catastale

Difformità catastale: il preliminare può essere risolto

L’obbligo di conformità tra lo stato di fatto dell’immobile e la sua planimetria catastale non è un dettaglio tecnico né una formalità superabile. È un presupposto essenziale per la validità dell’atto definitivo di compravendita e, già nella fase del preliminare, incide sull’equilibrio delle prestazioni. Una recente pronuncia della Cassazione conferma che la sua violazione, se non sanata tempestivamente, può giustificare la risoluzione del contratto per grave inadempimento.

Il caso concreto

Con la sentenza n. 13959 del 26 maggio 2025, la Corte di Cassazione, Sezione II civile, è tornata ad affrontare un tema ricorrente nella prassi contrattuale: la rilevanza della difformità catastale dell’immobile oggetto di contratto preliminare. La controversia riguardava un immobile in cui era stato realizzato un bagno interno non riportato nella planimetria catastale. La parte promissaria acquirente, rilevata la discordanza, aveva esercitato il recesso e richiesto il risarcimento dei danni. La Corte d’appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, aveva escluso la gravità dell’inadempimento, sostenendo che la difformità fosse sanabile con una semplice variazione catastale a basso costo.

Il principio ribadito dalla Cassazione

La Suprema Corte ha cassato tale impostazione, riaffermando che la regolarizzazione catastale costituisce un obbligo essenziale a carico del promittente venditore. Ai sensi dell’art. 29, comma 1-bis, l. 52/1985, l’atto definitivo di compravendita non può essere stipulato in assenza della dichiarazione di conformità tra planimetria e stato di fatto. Questo adempimento non si esaurisce in una verifica documentale: rappresenta un requisito legale per la validità dell’atto traslativo. La difformità catastale, pertanto, non è un vizio formale, ma un inadempimento potenzialmente grave che incide sulla commerciabilità dell’immobile e può giustificare la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c.

Il quadro normativo: l’art. 29, comma 1-bis, l. 52/1985

Introdotto per rafforzare la certezza nelle transazioni immobiliari, l’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52, prevede che negli atti pubblici di trasferimento immobiliare, il notaio debba acquisire una dichiarazione delle parti circa la conformità tra i dati catastali e lo stato di fatto dell’immobile, basata su visura e planimetria aggiornata. In difetto, l’atto non può essere ricevuto né trascritto. La disposizione non ha solo portata formale, ma incide sul contenuto dell’obbligazione contrattuale anche nella fase preliminare, imponendo al venditore un dovere attivo di verifica e, se necessario, di regolarizzazione preventiva.

L’obbligo di attivarsi per la regolarizzazione

La Corte ha sottolineato come il venditore non sia tenuto unicamente a garantire una situazione catastale formalmente conforme, ma assuma un vero e proprio obbligo di comportamento: attivarsi, entro tempi utili, per conseguire la conformità catastale. L’inadempimento non risiede solo nella presenza della difformità, ma nell’inerzia colpevole del promittente rispetto a un obbligo esigibile entro la scadenza pattuita per il definitivo. Anche qualora la regolarizzazione sia tecnicamente possibile, la sua mancata realizzazione nel termine negoziale compromette l’equilibrio contrattuale e legittima la parte acquirente a domandare la risoluzione del contratto per inadempimento.

La buona fede e la tutela dell’affidamento

La decisione si inserisce nel solco di una giurisprudenza attenta alla tutela dell’affidamento generato in sede negoziale. In base al principio di buona fede oggettiva (art. 1375 c.c.), ciascuna parte è tenuta a comportarsi secondo correttezza per assicurare il raggiungimento dello scopo contrattuale. L’acquirente ha diritto a ricevere un bene conforme alle caratteristiche dedotte in contratto, anche dal punto di vista documentale. Una difformità, pur sanabile, altera il contenuto dell’obbligazione e può incidere in modo decisivo sulla volontà di concludere l’affare. Da qui la rilevanza della violazione e la fondatezza della domanda risolutoria.

Le implicazioni pratiche per la contrattazione immobiliare

Alla luce della pronuncia, risulta rafforzato l’onere di diligenza posto a carico del promittente venditore. Prima di impegnarsi contrattualmente, è necessario verificare la conformità tra stato di fatto e planimetria catastale e, se del caso, attivarsi senza indugio per regolarizzare la situazione. L’omissione di tale controllo non solo può pregiudicare la stipula dell’atto definitivo, ma anche espone a richieste di risoluzione e risarcimento. La sentenza rappresenta un monito anche per chi opera nella redazione dei contratti preliminari: la conformità catastale non è un aspetto accessorio, ma un presupposto essenziale dell’obbligazione di vendere un bene commerciabile e regolare.

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